I dialetti in Italia tra passato e futuro
- Linguisticamente Traduzioni
- 26 mag
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I dialetti sono delle vere e proprie lingue.
È un’affermazione riconosciuta come tale o no?
Gli studi linguistici rilevano alcune ambiguità: c’è chi afferma che il dialetto è una vera e propria lingua e chi esprime il contrario. Mi sono spesso imbattuta in situazioni in cui le persone provassero imbarazzo a parlare il dialetto piuttosto che la lingua madre (L1). La motivazione alla base di ciò è che il concetto di dialetto cela un pregiudizio che si è stereotipato nel tempo cioè, “il dialetto è visto come una lingua debole e non compresa da tutti”. L’aggettivo debole, secondo l’italianistica, non da dignità al concetto di dialetto poiché la vera differenza tra i dialetti e le lingue non deriva dalla linguistica, ma dalla sociolinguistica.
Tuttavia, la linguistica moderna afferma che i dialetti pur essendo la varietà di una lingua, possono essere considerati lingue a sé in quanto hanno una propria storia, letteratura e una comunità di parlanti che li percepisce come tali.
Seppur la questione è complessa è fondamentale riconoscere il valore e l'importanza di ogni varietà linguistica, sia essa definita lingua o dialetto. Come le lingue, anche i dialetti hanno una loro origine e di conseguenza una loro storia: i dialetti conservano le vicende storiche di una comunità.
In Italia il dialetto è spesso percepito come l’eco di un passato che permane nel presente e continua nel futuro. I dialetti sono lingue diffuse su tutta la nostra Penisola e rappresentano l’identità di un luogo o di una intera popolazione: nella maggior parte dei casi, gli italiani non intaccano le loro origini linguistiche, anzi le utilizzano con orgoglio.
Ognuno costruisce il proprio dialetto su di sé come un “vestito da indossare” in mezzo al proprio popolo nonché alle proprie tradizioni e alla propria cultura. Ogni forma dialettale rappresenta il vissuto storico di una generazione che cresce nel tempo in un dato luogo.
I dialetti sono sistemi linguistici che servono per comunicare; da questa caratteristica, ciascun dialetto italiano è definito lingua allo stesso modo dell’italiano standard.
Nella linguistica dialettale coesistono non solo memorie del passato, ma anche aspetti del presente e del futuro; il dialetto è la “carta d’identità” di un paese, di una borgata o di un quartiere. Queste peculiarità, spesso, vengono oscurate dalla lingua predominante; pertanto il compito di un linguista è far rifiorire i “segreti” nascosti del dialetto, salvando la storia e le usanze di una comunità di dialettofoni. L’uso del dialetto permane nella memoria dei più anziani che narrano le loro vicissitudini con espressioni “della loro epoca”.
Oggi, invece, i dialetti hanno subito processi di italianizzazione e alcuni vocaboli sono divenuti dei regionalismi che hanno ottenuto un loro spazio all’interno del vocabolario italiano. Non c’è distinzione tra Nord e Sud Italia, in ambedue i casi coesistono sia i dialettofoni che gli italofoni. Quando nel parlato sì usano espressioni dialettali molte persone pensano di utilizzare frasi di poco stile e di bassissima comprensione: spesso l’uso del dialetto è rappresentativo di una bassa cultura e di una scarsa erudizione. Questa immagine si è stereotipata nel tempo fin tanto da renderla verosimile alle orecchie di chi ascolta.
In questo scenario gli scrittori non trovano nulla di reale anzi, molti autori vedono nei dialetti la radice linguistica di ogni regione.
Come annunciato all’inizio dell’articolo, i dialetti possono essere intesi sia in senso linguistico cioè, come una varietà di lingue, sia in senso genealogico cioè, come una lingua che si è evoluta da un’altra lingua e sia in senso sociolinguistico cioè come una lingua socialmente “subordinata” ad una lingua politicamente dominante. Il termine “subordinato” appare agli occhi degli esperti un po’ eccessivo poiché crea un distacco in senso diacronico e di conseguenza un presente anacronistico: i dialetti appartengono alla sfera del passato, un’epoca che non ritorna e come tale che perde memoria.
Oggi, però, la rivalutazione dei dialetti dal punto di vista filologico-linguistico mette in evidenza “parentele” e somiglianze tra dialetto e lingua standard.
La sociolinguistica considera la lingua e il dialetto da un punto di vista socio-culturale; spesso nei contesti informali (es. la famiglia, il gruppo di amici) si è più dialettofoni di quelli formali.
L’aspetto linguistico rilevante è che spesso le persone dialettofone quando si ritrovano a parlare l’italiano standard mantengono l’accento del loro dialetto. Difatti, nel parlato del popolo si ode “qualcosa” che riconduce alla loro genesi.
Il dialettofono non fa altro che valorizzare le sue origini e le sue tradizioni; questo fenomeno è diffuso anche tra i giovani d’oggi. Infatti, mi è capitato spesso di essere in classe e sentire parole o frasi pronunciate in dialetto napoletano, romano e bolognese.
Il dialetto è lo strato su cui si è costruito l’italiano, ma anche il latino usato nei secoli scorsi. È impossibile attribuire ai dialetti aggettivi come “basso”, “vecchio, “dimenticato”; è come disprezzare le nostre origini linguistiche.
L’Italia è un paese vario da un punto di vista geografico, artistico, culturale e linguistico; anche i dialetti come l’italiano standard hanno delle regole grammaticali che cambiano da regione a regione, ma anche da paese a paese: si potrebbe affermare che l’italiano non esisterebbe se non ci fosse il dialetto e viceversa. Sono due mondi linguistici che si intersecano tra loro perché hanno radici comuni.
Possiamo definire il dialetto un “antenato” dell’italiano?
Dalle mie ricerche linguistiche posso affermare di sì; ma dato che la sperimentazione non termina mai si potrà con il tempo rianalizzare questo concetto e riavviare nuove indagini, anche più scrupolose.
La storia dei dialetti italiani parte dal 1200 circa, il periodo delle tre Corone d’Oro nonché Dante, Boccaccio e Petrarca. Quest’ultimi conoscevano il dialetto ed è proprio dai loro scritti che emergono le “differenziazioni linguistiche rispetto all’italiano standard”.
L’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) si occupa proprio di salvaguardare le lingue, i dialetti e le minoranze linguistiche con l’intento di promuovere l’accesso all’informazione e alla conoscenza e di contribuire alla creazione di società inclusive, eque, aperte e partecipative attraverso il sostegno delle diversità linguistiche e del multilinguismo.
Tuttavia, si sono avviati diversi progetti che promuovono la conservazione dei dialetti italiani come patrimonio non solo per noi, ma per tutta l’Europa.
Lo scopo è quello di evitare il pregiudizio linguistico e favorire processi di inclusione, di tutela e di valorizzazione dei dialetti. Ottimizzare tali concetti conduce ad avere maggiore competenza linguistica sia nel parlato che nello scritto.
Articolo redatto da
Prof.ssa Randi Maria Rossella
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