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Lingua Araba e Lingua Napoletana non sono poi così diverse




Può sembrare impossibile ma il Dialetto Napoletano e la Lingua Araba hanno molto più incomune di quanto si immagini. Ma cos’è che accomuna la Lingua Della Città Partenopea con la Lingua Ufficiale del Nord Africa e Medio Oriente?


Il Napoletano è frutto di varie influenze culturali e linguistiche come quelle francesi e spagnole e con grande stupore anche di quella araba, anzi, direi soprattutto.

La storia risale al XV secolo quando gli arabi occuparono il Sud Italia portando nel paese la loro cultura e anche un po’ della loro lingua. Tra le conquiste più famose del Sud Italia da parte del popolo arabo c’è stata la Sicilia, ma secondo approfondite ricerche, gli arabi ebbero dei forti contatti anche con la città di Napoli, testimoni le famose parole che i Napoletani usano nel quotidiano senza saperne la reale provenienza.


Molti arabi che vennero in Italia e a Napoli erano matematici, astronomi, e mercanti che vendevano la loro merce nei porti della città partenopea. Oltre al loro sapere scientifico, hanno permesso che la Lingua Napoletana acquisisse alcuni termini arabi che, come già detto, sono utilizzati ancora oggi. Grazie a questi intellettuali, navigatori e commercianti il popolo napoletano ha adottato le parole: Vaiassa che indica una donna volgare, sguaiata per intenderci “non di classe” e viene dalla parola araba Bargash ovvero la giovane schiava straniera prigioniera di guerra.


0' Tauto, ovvero la bara, dall’ Arabo Tabut che appunto vuol dire cassa da morto.

A’ Paposcia ovvero la pantofola vecchia, la stessa parola viene usata nella famosa espressione napoletana ‘TEN A’ PAPOSCIA’ che indica una persona affetta da ernia scrotale, dall’Arabo Babug la scarpa orientale tradizionale (per intenderci le scarpe di Aladino con la punta all'insù). In Napoletano esiste un altro prestito arabo con lo stesso significato di Paposcia, questo molte volte è considerato un vocabolo “volgare” quasi una parolaccia, esso è A’ Guallera che, oltre a significare una persona con ernia, indica anche una persona lenta e poco intraprendente, dall’Arabo Wadarail pantalone con cavallo basso tradizionale usato dagli arabi.


O’CCAFE’come non citare la bevanda di cui nessun napoletano può fare a meno. Il caffè è vera e propria tradizione della cultura napoletana, è simbolo di amicizia e accoglienza; infatti, a Napoli è nato il caffè sospeso, ovvero un caffè al bar pagato in anticipo, si ordina un caffè e se ne paga uno in più, e la persona che entrerà successivamente al bar potrà gustare un caffè gratuito offerto dal cliente precedente. La parola viene dall’arabo Qahwa che vuol dire proprio caffè o bevanda eccitante. Se il caffè napoletano è così buono da considerarlo ‘vita’ a volte può capitare il contrario e qui parliamo della famosa parola Ciofeca che viene principalmente utilizzata per indicare un caffè venuto male, e anche questa parola è prestito di una parola araba šafèq che ha significato simile, una bevanda poco energetica o sgradevole.


O’ Mammone, lo storico mostro, di cui non si conosce l’entità, nominato da tutte le mamme napoletane, quando sono disperate a causa dei comportamenti poco educati dei loro

bambini, viene dalla parola araba Maimun ovvero scimmione. Forse dopo anni abbiamo dato un volto al nemico di tutti i bambini napoletani.


Queste sono soltanto le poche parole tra i tantissimi prestiti tra La Lingua Araba La Lingua NapoletanaTermini come ciofeca sono stati usati in ambito artistico all’ interno del teatro del drammaturgo napoletano Eduardo De Filippo e all’ interno dei film del grande comico Antonio De Curtis conosciuto come Totò.

L’attore e produttore Pier Francesco Favino nel 2022 ha parlato del suo film ‘Nostalgia’ all'Auditorium dello IULM a Milano. Il film parla di un uomo che dopo aver vissuto in Egitto ritorna a Napoli. Favino fa un piccolo ma grande paragone tra l’Arabo e il Napoletano e che fa molto riflettere; la grammatica araba non comprende il verbo avere, infatti per indicare il possesso si aggiunge un pronome suffisso a fine parola o verbosorella ukht - mia sorella ukhtiy, come cita l’attore: “in arabo si dice una cosa a me” ed è come in napoletano, per dire mia sorella: sorem.


 Tutto ciò da una grande valore a quello che è il patrimonio linguistico e l’identità di un paese e di un popolo, e soprattutto indica quanto è fondamentale l’abbraccio fra culture in quanto apparteniamo tutti a culture differenti con la propria storia e le proprie tradizioni ma che in realtà ognuna di essa ne riporta sempre un po’ dell’altra.

 

Riferimenti:


Articolo a cura di Giuseppina Sorianello

 
 
 

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